Salvatore Adamo è un rappresentante del talento italiano che opera all’estero, per la precisione in Belgio. L’album di debutto “Tombe la neige”, del ’63-’64, trae il titolo dalla canzone omonima, di un romanticismo e di una dolcezza impareggiabili: una musica soffice, da ascoltare davanti al caminetto che arde in una sera d’inverno, magari in due. Il brano ispirò forse “Notte di Natale” di Baglioni, dei primi anni Settanta; l’atmosfera è soffice, la voce un sussurro, talvolta quasi un singhiozzo.
E’ notte, cade la neve, lui è solo a casa e lei non verrà; ciononostante i fiocchi bianchi non smettono di vagabondare nel cielo, impassibili di fronte alla desolazione della solitudine come cavallini di una giostra senza fine. Il cuore si tinge di nero mentre l’aria si riempie di una sorta di bianco corteo di lacrime, avvolto da un silenzio odioso.
Ecco il lato freddo dell’amore, oscuro anche se ricoperto di candore. Lo stesso buio di cui ci parla “La nuit”: un vuoto orrendo in cui diviene impossibile nascondersi la persistenza di un amore disperato, che di giorno ci si illude di poter dimenticare. Viene spontaneo pensare a un’altra canzone italiana nata più o meno nella medesima temperie culturale: “Una carezza in un pugno” di Adriano Celentano. “Elle” racconta la stessa solitudine e un simile contrasto tra il tumulto del cuore del poeta e la vita che continua: lui si strugge, lei continua a camminare, non si sa se indifferente o ingara delle sue sofferenze. Non gli appartiene più, lui ne segue l’ombra ma non ha il diritto di toccarla; prova un senso di perdita spaventoso, gli sembra inconcepibile che adesso lei sia libera di lasciarsi amare da chiunque e che abbia dimenticato la loro storia. Più ironica e distaccata “Le barbu sans barbe”, che pure parla di un abbandono: il protagonista e la sua fidanzata Lise hanno raccolto per strada un barbone, l’hanno lavato, nutrito e consolato; infine gli hanno offerto un riparo per la notte.
Il giorno dopo del barbone non rimaneva che la barba, cresciuta stavolta sul viso del cantante: tutto il resto se l’era portato via, compresa la troppo compassionevole Lise! D’altra parte, come canta lui stesso, “Il n’y a pas d’amour sans peine”, “non c’è amore senza dolore”... e ciononostante, sin dalla notte dei tempi la gente si ama. Come fa la colomba che dà il titolo a un’altra canzone: la gabbia aperta che dà su un deserto, subito dopo la fine del mondo distrutto dalle guerre, la bestiola non scappa, né tace: sogna, come una pazza. Con la stessa follia dei vinti che ogni volta riportano la speranza nel mondo, nonostante le sue violenze. Perché il dolore, come scrive Christian Bobin, quando ci prende non ci distrugge tutti interi: lascia sempre qualche semplice fiore, in un angolo del giardino devastato. Ed è da lì che la natura intera riprende vita!
PollyAnna